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Roberto Pietrosanti

Nato a L’Aquila nel 1967, alla fine degli anni Ottanta Roberto Pietrosanti si trasferisce a Roma, intraprendendo da subito una fitta attività espositiva in Italia e all’estero, a Roma, Parigi, New York, Verona, Bologna, Milano, Liegi, Londra, Madrid.

In principio scandaglia i prolegomeni della spazialità: fili sospesi delimitano geometrici perimetri d’aria entro cassette metalliche o direttamente sulle pareti espositive (Galleria Mara Coccia, Roma 1990). Classiche, limpide e invero radicali proposizioni di un’estetica dell’“aria architettata” (Paolo Aita). Lo studio della musica, precedente agli esordi in campo artistico, lascia una traccia nel rigore compositivo e nell’utilizzo di “un alfabeto di poche forme ricorrenti, quasi fossero le sette note” (Ada Masoero) che diviene requisito della sua produzione negli anni a venire.

Tele grezze segnate da solchi o linee autosufficienti che tastano il fondo quasi a rintracciarvi lo schema di antichi perduti tracciati. Tavole lavorate a bassorilievo, in un serrato dialogo tra superfici e volumi (XII Quadriennale, Roma 1996). Spazi che si incardinano architettonicamente in microambienti con la stessa fiera baldanza di ampie, vaste aule romane. Il percorso all’interno della monocromia si affianca agli interventi in rilevanti progetti architettonici, a cominciare dal 1999. In parallelo nascono i progetti per il teatro e la danza contemporanea, da cui una serie di tournée con le compagnie Altroteatro e Sistemi Dinamici Altamente Instabili lungo l’Italia e l’Europa.

Le opere divengono per Pietrosanti terreno di sfondamenti spaziali: non di rado si serve di elementi tratti dal vocabolario archetipico, riscontrabili nelle linee sinuose e carezzevoli dei lavori proposti per la mostra “Arte Contemporanea Lavori in corso 10”, presso il MACRO di Roma (2000). Qui si articola “un tempo sospeso che non può che essere drammatico (…): l’esperienza del quadro si annulla, va nella direzione dell’architettura” (Barbara Rose). Nello stesso anno realizza con Elvio Chiricozzi la mostra Migranti, congegnata per lo Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande di Roma: l’ambiente viene riconfigurato dai due artisti attraverso una grande opera site specific.

“L’architettura per Roberto Pietrosanti è più di un interesse, è un’attitudine, una vocazione. Perché esporre per l’artista non significa mostrare qualcosa, ma interpretare uno spazio” (Paola Magni). Tale compenetrazione di ricerca formale e indagine sull’ambiente emerge a evidenza nell’installazione per lo spazio dedicato all’arte contemporanea Volume! (Roma 2003), con sfere di rame serrate tra le pareti della galleria e un sordo, imponderabile muro in cemento. “Diaframma unico per due direzioni, l’interna e l’esterna, cui l’orizzontalità della pittura o il volume intero della scultura risultano visibilmente agganciati” (Fabio Mauri), il monocromo dell’artista, in ottone, in rame o anche animato da miriadi di spilli, si serve del vuoto come modo per instaurare luoghi.

Tra le collaborazioni con studi di architettura si segnala la realizzazione di un’opera monumentale in ottone per una piazza nel quartiere ANIC di Ravenna, occasione nella quale Pietrosanti ha lavorato per la Compagnia del Progetto a fianco degli architetti Francesco Moschini, Franco Purini e Carlo Maria Sadich. Nell’ambito della rassegna Close Up (2004) ridisegna gli spazi della galleria Il Ponte, a Firenze, collocando sculture e opere su carta.

Negli anni più recenti si evidenziano la partecipazione con un’installazione architettonica all’importante rassegna internazionale Monocromos. Da Malevic al presente (Centro de Arte Contemporanea Reina Sofia, Madrid 2004) e l’invito alla X edizione della Biennale di Architettura di Venezia. Presso la galleria A.A.M di Roma si è tenuta nel 2006 la personale Nel bianco, a cura di Ada Masoero, Francesco Moschini, Vincenzo Trione. E’ in corso di realizzazione a Roma il progetto vincitore del Concorso Menoèpiù, con l’architetto Efisio Pitzalis.

Da sempre incline alle contaminazioni tra generi, Pietrosanti ha compiuto svariate incursioni nel settore del design industriale, progettando in esclusiva per Alda Fendi una lampada scultura in metacrilato opalino, e dei tavoli-scultura in edizione limitata per l’azienda Capo d’Opera (Salone del Mobile, Milano 2008).

 

Opere

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