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Francesco Impellizzeri

Sono passati vent’anni dalle prime apparizioni di Francesco Impellizzeri performer. Erano gli anni dell’ “arte giovane”, termine che ha marchiato innumerevoli generazioni ma che ha caratterizzato per sempre quella emersa in arte tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Francesco Impellizzeri con me condivide la formazione nella Roma prima plumbea del Black Out e poi sorniona della Mucca Assassina: sono elementi che segnano l’orizzonte nottambulo nel frenetico rinnovamento post-punk della città. Provenivamo da ambienti differenti ma credo ci unisse in modo determinante la voglia di fare arte, di inventare eventi d’arte che non fossero tristi e “pallosi”, come si diceva allora. Nell’ambito artistico che volevamo forgiare e che risultava come il più energico della scena giovane le mostre erano considerate un momento performativo, uno scoppio di risate in locali alternativi e autogestiti piuttosto che una sfilza di opere precedute da una lagnosa conferenza stampa con vecchi pelandroni a cavallo di sedie obsolete. Sebbene ci rapportassimo in modo diverso, lui da artista ed io da critico curatore, abbiamo vissuto insieme numerosi eventi di quegli anni, la maggior parte dei quali gravitanti nelle attività della rivista Opening e dell’Associazione Culturale Sottotraccia, delle quali ero parte attiva. Proprio in una di queste occasioni fra arte da vendere a tutti i costi per sopravvivere e feste dall’estetica technicolor, ho conosciuto Impellizzeri. Erano gli anni in cui Impellizzeri lavorava nel nobile studio di Carla Accardi e già questo lo posizionava su una dimensione attenzionata, e si stava bene attenti a non dimenticarsene. Tuttavia la sua arte in forma di quadro io l’ho sempre tenuta in poco conto rispetto al più complesso sistema di segni e di azioni che sono da sempre la forza compulsiva della sua opera. Eravamo ad una festa e credo su istigazione di Ludovico Pratesi Francesco si “espose” in una performance canora cantando Vernice (Vernissage). Non ricordo bene il luogo, ma di certo era una serata dedicata ai giovani artisti di belle speranze, la maggior parte dei quali poi sparita nel nulla, tanto per non smentire la maledizione di questa generazione schiacciata fra genitori sessantottini e figli forzisti.

 Impellizzeri non era ancora stato visto nella sua azione scenica ma c’era il suo talento innegabile che sarebbe emerso poi in Strilli (Temple Gallery, 1990) durante la sua prima personale. Vernice (Vernissage) (1991) è, posso di certo dire, la prima hit di successo di Impellizzeri. In qualche modo raccoglie alcune indicazioni su ciò che sarebbero state le sue azioni successive e su una atmosfera che si respirava in quel momento. C’era un substrato pop molto forte, anche canoro alla Camerini, c’era l’astrazione idealista, a colori vivaci e aguzzi, c’era l’impianto scenografico che faceva molto anni Novanta e l’uso disinvolto dei materiali anche tecnici con una tattilità artigianale. Quando ci presentò Unpopop e Lady Muk ad Opera Stabile nel ’94, faceva divertire anche soltanto sapere com’erano realizzate quelle ambientazioni. In quell’occasione Francesco arriva con una macchina stupenda, insolita, una R4 furgoncino giallo schizzato, la stessa che è stata poi usata anche per un’altra performance più “hard”, Bodygard Peep Shop (Il Ponte, Roma, 1998). Tira fuori della roba, che sembra spazzatura e in quattro salti ti monta un ambiente pazzesco, con musica, luci, cuscini. Erano i primi eventi per la sua carriera, adesso già ventennale di azioni e performance. Dalle musiche pop e travestimenti da rock star, alle canzoni rappate della performance veneziana con Pratesi (Canzoni in Vetrina, Venezia, 1993), sino alle apparizioni in forma d’angelo luminoso. In L’annuncio dell’angelo candido, (Torretta del Valadier, Roma, 1995), Impellizzeri conclude una sequenza di appuntamenti dedicati all’aspetto politico del contemporaneo, a dispetto di quanti consideravano questi eventi che realizzavamo solamente come una forma di intrattenimento. La performance di Impellizzeri si è poi arricchita di giochi linguistici, concettuali, ambienti scenici, e ha inoltre dimostrato la poliedricità e la versatilità della sua figura d’artista. La sua forza è quella di parlare del contemporaneo, con un taglio critico anche severo, ma senza scadere nella fiacca screpolatura della depressione, piuttosto trasformando vizi e vezzi in ironica “vitalità del negativo”. Ho inseguito la sua mostra al MLAC per tanto tempo e si è finalmente concretizzata. Possiamo così valutare tutto il percorso delle azioni artistiche di Impellizzeri sino al 2010, anche grazie al contributo curatoriale di Geoffrey Di Giacomo, che si è occupato della mostra. Io credo che al di là dell’appariscenza di questo percorso si sia di fronte ad una figura notevole d’artista che legge da un’angolazione decisa il contemporaneo e ci offre una visione disincantata e fintamente leggera di un mondo anche interiore. Un lavoro che immagino possa essere riscoperto dai giovani – anagraficamente tali – di oggi, studenti, critici e artisti.

Opere

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