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Claudio Marani

“Hora zero”, un punto di inizio come un punto di fine. O più probabilmente un tempo congelato, paradossalmente fissato, immobile tra nascita e morte. Un tempo che racchiude in sé, in nuce, entrambe le esperienze: la vita, le sue passioni, aspirazioni, disillusioni, la morte come momento finale, che nelle opere di Marani, non è perdita tragica bensì ritorno alla natura, una natura intesa nella sua più perfetta armonia ed ordine. “Hora zero”, un angelo delle dimensioni di un uomo, con un corpo metallico carbonizzato, fissato ad una parete bianca, una sola ala, il capo leggermente ma significativamente reclinato verso il basso, delle luci che lo illuminano. In quest’opera si rintraccia tutta la poetica dell’artista nel suo duplice versante, formale e contenutistico. 

È una scultura che nasce dalla manipolazione esperta della rete metallica, un materiale povero, poco sperimentato nell’arte, elegante, allo stesso tempo materico e leggero, che permette allo sguardo di circolare all’interno dell’opera, di attraversarla, esserne parte. È un materiale che consente una convivenza estrema di materia e spazio: come in tutte le opere dell’artista non vi è contrapposizione fisica ma incontro armonico degli opposti, ossimoro risolto tramite la sublimazione artistica. Ed è così che la rete metallica del corpo angelico (“Hora zero”), come dei fiori (“Flowers”), delle ossa (“Paleontologia 1”) o del mare (“Ho visto un quadro in fondo al mare”) che Mariani mette in mostra, diviene materia acquosa, trasparente, soluzione dei contrari. È materia che evoca l’immateriale, conciliazione di spirituale e carnale, idea e sentimento. 

Tutta la ricerca dell’artista è incentrata su questo tema: la spiritualità che diviene tangibile, viva, emotivamente dirompente. Come emotivamente dirompente è l’angelo che ha perduto durante la sua esistenza un’ala, la sua caratteristica precipua, il suo essere e metà strada tra l’umano ed il divino, la capacità del volo. L’ha perduta nella battaglia dell’esistenza, nelle guerre, quelle metaforiche e quelle reali, nelle sofferenze fisiche e morali, nelle ingiustizie e nei soprusi, nell’arroganza e nelle libertà negate. E ci ricorda l’angelo della storia di Walter Benjamin: “…ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. 

Ciò che chiamiamo progresso, è questa tempesta”. Tutto ciò che ha lacerato l’angelo lo ha anche umanizzato, la sua sofferenza ci agevola nell’istintiva proiezione psicologica, nella comunanza di un sentire che pateticamente condividiamo con questa creatura. Questa, pur mutila e carbonizzata, tiene in alto l’ala che ancora possiede, metonimia del volo stesso. La ferita, la lacerazione, la perdita, nelle opere di Marani perdono il loro connotato negativo per divenire, grazie all’azione alchemica del fare artistico, stimoli di sublimazione spirituale, rinascita. Filo conduttore della ricerca estetica di queste creazioni è la capacità di sintetizzare assoluto e contingente, idea e materia in un lessico fortemente empatico. E la sintesi che Marani raggiunge è una sintesi che non rivela tensione alcuna ma perfettamente si esplica nelle forme minimali ed esuberanti allo stesso tempo, lucidamente equilibrate e mai eccedenti pur nella loro estesa dimensione. 

La rete metallica è sempre manipolata con effetto di grande espressività, grazie ai giochi chiaroscurali derivanti da un accumulo di materia, coinvolgente emotivamente per il suo oltrepassare fisicamente e semanticamente la bidimensionalità del quadro scultoreo per farsi spazio, ponte verso l’altro da sé, proiezione concettuale e sentimentale, caratterizzata oltremodo da un’acuta musicalità. Musica e letteratura sono inoltre stimolo fecondo per la creazione di queste opere (“Hora zero” per esempio è il titolo di un disco di Astor Piazzola), come rivelano i loro titoli, anch’essi sensibilmente poetici e sottilmente affascinanti nella loro ambiguità: “Fine notte isterica”, “Scoglio e medusa”, “Ontologico”, “Agguato e lampo e notte”, “Carne dell’arcobaleno”.

“E’ un uragano di gelatina, uno scroscio di sperma e di meduse. Vedo levarsi un cupo arcobaleno. Vedo le sue acque attraverso le ossa” recitava Pablo Neruda negli anni Trenta. Sembrano versi scritti di fronte a queste opere.

Piera Peri

Opere

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