Susanna Sartarelli parte da un presupposto, nelle sue opere più recenti, che il quadro non vada considerato come una unità organica (diversamente da come le è capitato altre volte da fare) ma il risultato di tensioni, di nuclei formali e, infine, di superfici diverse. Nell’opera che da il titolo alla mostra le superfici destinate a relazionarsi dialetticamente tra loro sono risolte come piani neri, nettamente definiti, elementari nella struttura e addirittura vagamente geometrici (nel senso che rivelano un evidente rapporto, in termini di discendenza libera, dalle forme primarie della geometria). Ognuna di queste forme è personaggio solista di una delle sei parti del quadro, così che si vengono a creare tanti punti focali, disposti sul piano in modo tale da entrare in rapporto tra loro. O meglio da confrontarsi tra loro, perché la soluzione adottata da Sartarelli prevede che le forme non nascano l’una in relazione all’ altra ma, in quanto nuclei solisti dell’opera, dialoghino tra loro solo nel momento risolutivo del montaggio. Entrano in gioco, così, nella composizione dell’opera due principi diversi – che risaltano entrambi, con grande evidenza, di fronte al fruitore – quello del rigore dell’impianto e quello del caso. La realizzazione dell’opera nasce, infatti, dalla precisa attenzione verso i pesi formali (che, come vedremo, sono anche pesi cromatici) delle singole parti del quadro che, relazionandosi tra loro nella composizione definitiva, suggeriscono una instabilità e soprattutto una relatività del principio compositivo. Vale a dire che non sono presenti effetti predeterminati – tra simmetrie, corrispondenze o giustapposizioni dei singoli nuclei formali – che rischierebbero di risultare statici, quanto un gioco più libero e fluido della composizione. Le forme sono presenti nella superficie come fluidi galleggianti, che spingono lo sguardo a muoversi, indicando percorsi, itinerari che di continuo si rinnovano e di continuo possono essere ridisegnasti nella percezione.
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