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Sergio Sarra

La doppia personale di Sergio Sarra disloca due lavori recenti in due spazi romani: la Galleria Pio Monti e il Garage Carcani. Nella sala della Galleria Pio Monti l’artista presenta una serie di 200 disegni tratti dall’osservazione delle planimetrie, degli elementi naturali e delle strutture umanizzate che caratterizzano il territorio che circonda il suo studio in Abruzzo.

I disegni ripetono la stessa “mappa” e sono installati negli spazi della galleria in modo da accerchiarne il bow window. Con questo gioco installativo Sarra punta a creare una connessione tra l’ambiente interno e la Piazza Mattei sulla quale si apre la galleria. I disegni incorniciano la fuoristante Fontana delle Tartarughe, il capolavoro barocco di Giacomo della Porta e Taddeo Landini. Mettendone in gioco lo spazio visivo e sonoro, si forza lo spettatore a porre in relazione con il proprio sguardo i disegni e l’architettura barocca, le mappe – che insieme compongono l’immagine di un organismo – e la città storica e reale.I disegni della serie, intitolati Monsūno, sono eseguiti a sanguigna, complessa tecnica rinascimentale che prevede l’uso di un bastoncino di ematite: il minerale ferroso permette di realizzare disegni di colore rossastro, che vanno opportunamente fissati per evitare che i residui polverosi si cospargano sul foglio.

“Fare più volte lo stesso disegno poteva all’inizio sembrare una semplificazione, invece mi sto complicando molto il lavoro, e soprattutto è faticosissimo. Come al solito, sto facendo tutto un po’ controvoglia: mi solleva, a volte, la riuscita dei singoli disegni”, spiega l’artista, che in questa operazione ricorda la raccolta di saggi di cronaca politica di Alberto Moravia Impegno controvoglia.

Altri 200 disegni della stessa serie sono presentati al Garage Carcani, come trait d’union tra i due spazi. La ripetizione implica un’operazione quasi Zen di reiterazione degli stessi gesti, della quale il vero punto di arrivo non è la realizzazione del singolo disegno o il raggiungimento della perfezione. Al contrario, il processo, lo sfinimento nel compiere ripetutamente lo stesso gesto – che si modifica nel tempo – e la diversità, costruiscono il senso di questo lavoro. La serie è una mise en scène dell’osservazione del disegno geometrico del territorio con occhio paranoico critico. 

Corrimano per film cubista è il secondo lavoro presentato al Garage Carcani. Una scultura di alluminio, scintillante come se fosse cromata, si poggia su un fianco della sala. Si tratta apparentemente di un corrimano zoomorfo, vicino alle forme dell’Art Nouveau, di circa sei metri di larghezza. Ma a questa struttura l’artista ha sottratto qualsiasi riferimento funzionale: le scale o la balaustra sulle quali dovrebbe essere di norma appoggiato, l’architettura che dovrebbe circondarlo, gli essere umani che dovrebbero farne uso. Il corrimano diventa una struttura in sé, non la decorazione di una costruzione funzionale. Uno strumento evocativo: di architetture, di persone, di ambienti e anche di riferimenti culturali.

Dal duchampiano Nu descendant un escalier (1912), al Nu montant l’escalier di Dalì (1973), passando per la sequenza di Ballet Méchanique di Fernand Leger (1924), nella quale una donna sale delle scale all’infinito senza riuscire a raggiungere alcuna meta. 

 

Opere

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