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Massimo Livadiotti

Ciò che avviene sulle dieci tele di Massimo Livadiotti (Zavia, 1959), che la galleria Romberg ha scelto di presentare a Roma dopo la personale a Latina nel 2005, è la messa in forma di uno spazio in cui l’osservatore è chiamato chiaramente in causa. Il Rebus, gioco linguistico per eccellenza, diventa il protagonista delle ultime opere dell’artista, qui presentate in una collocazione strategica al piano superiore, mettendosi a confronto con quelle che, al piano inferiore, propongono una riflessione sulla natura più tecnica che testuale del dipinto. La contemplazione si trasforma in una ludica partecipazione, alla scoperta del titolo enigmatico contenuto nella rappresentazione. Le “lettere”, tra le figure che campeggiano sulla tela, ne fanno da padrone, il tutto s’inserisce su di un piano di riferimenti e di citazioni alla mitologia, all’arte moderna, all’esperienza di viaggio dell’artista. L’artificio linguistico contamina i paesaggi chiaramente mediterranei: così il mare, le rovine classiche monumentali, i colori limpidi, i contorni netti, non sono solo uno sfondo al gioco voluto ma un elemento fondamentale. Il paesaggio naturale mostra la sua referenza a De Chirico: sospeso e silenzioso. Eppure in Livadiotti cade ogni turbamento metafisico. Ogni elemento si lega all’altro, lettera a figura, generando un loop di sensi che non può non far parlare di arte relazionale e dialogante (Gianluca Marziani).

Opere

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