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Giulio Paolini

Giulio Paolini dopo aver trascorso l’infanzia a Bergamo, nel 1952 si trasferisce con la famiglia a Torino Frequenta l’Istituto Tecnico Industriale Statale per le Arti Grafiche e Fotografiche, diplomandosi nel 1959 nella sezione di Grafica, dimostrando fin da giovane un grande interesse per l’arte

Attraverso fotografie, riproduzioni, calchi, collages, la sua ricerca tende ad analizzare le strutture dell’arte in una posizione dialettica nei confronti della storia delle immagini e del loro rapporto con il fruitore

Nei primi anni sessanta Paolini sviluppa la propria ricerca focalizzando l’attenzione sui componenti stessi del quadro, sugli strumenti del pittore e sullo spazio della rappresentazione Nel 1964 nella sua prima mostra personale, presenta una serie di pannelli di legno grezzo appoggiati alla parete, che suggeriscono l’idea di una mostra in allestimento L’esposizione è visitata da Carla Lonzi e Marisa Volpi, che di lì a poco scriveranno i primi testi critici sul giovane artista

Nel 1965 Paolini introduce la fotografia, che gli consente di estendere la propria indagine alla relazione tra autore e opera

Tra il 1967 e il 1972 il critico Germano Celant lo invita a partecipare alle mostre sull’Arte Povera, che sanciscono l’associazione del suo nome a questa tendenza Gli anni settanta coincidono con i primi riconoscimenti ufficiali: dalle mostre all’estero che lo inscrivono nel circuito delle gallerie d’avanguardia internazionali, alle prime esposizioni nei musei Gli anni ottanta costituiscono il periodo più denso di mostre e retrospettive, accompagnate da importanti pubblicazioni monografiche Nella prima metà del decennio inizia ad affermarsi una dimensione esplicitamente teatrale, segnata da lavori e allestimenti articolati nello spazio e contraddistinti da frammentazione e dispersione , nonché dall’introduzione di figure teatrali, quali i valets de chambre settecenteschi e altre controfigure dell’autore, indumenti e oggetti La poetica paoliniana si arricchisce notevolmente di attributi letterari e riferimenti mitologici; il repertorio iconografico si estende fino a includere immagini cosmiche Negli ultimi anni ottanta la riflessione paoliniana verte principalmente sull’atto stesso dell’esporre Nel corso degli anni novanta l’approfondimento dell’idea di esposizione si declina in altre e nuove modalità: gli allestimenti, sempre più complessi, osservano spesso una tipologia additiva (serialità, giustapposizione), oppure centrifuga (dispersione o disseminazione a partire da un nucleo centrale) o centripeta (concentrazione e sovrapposizione implosiva) Il luogo dell’esposizione diventa il palcoscenico per eccellenza del “teatro dell’opera”, ossia dell’opera nel suo farsi e disfarsi: il luogo che definisce l’eventualità stessa del suo accadere Il compimento dell’opera è peraltro costantemente differito, lasciando lo spettatore in un’attesa perenne: la stessa che l’artista sperimenta sempre da capo al suo tavolo di lavoro, nell’attesa che l’opera si manifesti

Negli anni duemila acquista particolare rilievo un altro tema particolarmente caro a Paolini: l’identità dell’autore, la sua condizione di spettatore, il suo mancato contatto con l’opera, che sempre lo precede e lo supera

La poetica e la pratica artistica di Paolini si connotano, nel suo complesso, come una meditazione autoriflessiva sulla dimensione dell’arte, sulla sua “classicità” senza tempo e sulla sua prospettiva senza punto di fuga Attraverso la fotografia, il collage, il calco in gesso e il disegno l’intento è sempre di nuovo quello di indagare, con grande rigore concettuale, la natura tautologica e nello stesso tempo “metafisica” della pratica artistica.

 

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